Analisi MicroEconomica sulla Migrazione a GNU/Linux

Analisi MicroEconomica sulla Migrazione a GNU/Linux

Software libero contro software proprietario: un tentativo di analisi microeconomica della migrazione a GNU/Linux in ambito aziendale.

by Andrea Maccis Via E-Linux

La migrazione da un sistema operativo proprietario, a quello libero per eccellenza, cioè GNU/Linux, offre al giorno d’oggi numerosissimi vantaggi, purtroppo ancora ignorati dalla maggior parte degli utenti e dei dirigenti aziendali.

Dal punto di vista etico, il raggiungimento della totale libertà informatica produce un profondo appagamento per gli animi più romanticità, dal punto di vista tecnico invece, un sistema UNIX like facilmente reperibile è una manna dal cielo per gli smanettoni, e infine i più pragmatici possono essere decisamente interessati al risparmio connesso a una scelta del genere, risparmio che può raggiungere anche una ragguardevole consistenza quando chi compie la migrazione  è un’azienda.

Però purtroppo, dato che l’attenzione dei sempre più numerosi sostenitori dei movimenti free software e open source, sembra quasi completamente rivolta verso implicazioni etico-filosofiche o prettamente tecniche, pochi si occupano di produrre stime verosimili, dei vantaggi economici derivanti da un radicale cambiamento nelle scelte riguardanti i mezzi informatici.

Facendo una ricerca in rete, si trovano con molta fatica, poche e frammentarie informazioni che possano dare la spinta decisiva a chi, eventualmente incaricato da qualche azienda, stia operando valutazioni su un possibile passaggio al software libero.

Grave mancanza questa, anche perchè , all’interno dei mercati sembra ci sia l’abitudine a operare nel rispetto di principi diversi da etica e filosofia, o che purtroppo questi ultimi, producano risultati non sufficientemente convincenti. Per chiunque operi nei mercati (settore pubblico e privato) l’obiettivo da perseguire dovrebbe essere sempre la minimizzazione dei costi: è risaputo che, chi non minimizza i costi rischia gravemente di diventare inefficiente. E le aziende, terrorizzate da questa possibilità (che può significare l’uscita dal mercato), impostano i propri processi decisionali applicando un modello di scelta fondato sull’analisi di costi e benefici.

Fondamentalmente ci si attiene alla regola secondo la quale è conveniente intraprendere una determinata azione se e solo se, i benefici che ne scaturiscono sono maggiori dei costi che bisogna sostenere per intraprenderla. A prima vista, un principio del genere sembrerebbe portare banalmente a scelte scontate: invece è quasi un’arte (peraltro ben remunerata), rintracciare tutti i costi e i benefici connessi a una qualsiasi azione, e non di rado purtroppo, si ha la dimostrazione di come un’analisi non accurata, conduca a risultati abbastanza fuorvianti, con conseguenze nefaste.

Nel nostro caso, può essere incredibilmente illuminante mettere in risalto un semplice dettaglio: il non sostenimento di un costo perfettamente equiparabile all’ottenimento di un beneficio. Per estensione quindi, dall’analisi dei costi che scaturiscono direttamente o indirettamente dall’utilizzo di software proprietario, si possono ricavare i benefici economici derivanti dall’utilizzo di software libero.

Il software proprietario produce costi che possono essere raggruppati in almeno sei classi (tutte completamente o in larga parte evitabili utilizzando software libero):

1. costi di licenza;

2. costi hardware;

3. costi di assistenza e manutenzione;

4. costi di protezione;

5. costi di formato e di interazione aziendale;

6. costi in termini di tempo.

La prima di queste classi di costo, quella dei costi di licenza, che di solito è l’unica menzionata nelle analisi di risparmio (ma che come si vedrà tende ad essere non per forza la più incisiva), nasce dal fatto che, la scelta del software proprietario, comporta il pagamento di licenze di utilizzo che raggiungono importi anche abbastanza rilevanti, appena il numero di elaboratori serviti diventa considerevole; questo tipo di costi è totalmente inesistente con il software libero, che può essere adoperato oltre che liberamente, anche gratuitamente.

I costi hardware invece, possono presentarsi qualora si abbia una miglioria nel software che, come spesso accade (specialmente col software proprietario) può significare una maggiore richiesta di risorse fisiche, alla quale si deve inevitabilmente far fronte con un potenziamento degli elaboratori. Il software libero, offre in moltissimi casi un’efficientissima struttura client-server: quasi sempre si potrà rispondere a una crescente richiesta di risorse, potenziando un solo elaboratore che funzionerà da server, e facendo in modo che le macchine che cominciano a diventare obsolete, accedano ai servizi operando come client.

Non bisogna dimenticare inoltre, che GNU/Linux nasce per sfruttare appieno macchine economiche, facilmente reperibili, e con scarse risorse, e che quindi, anche un elaboratore di qualità medio/bassa può dare tranquillamente ottimi risultati in termini di prestazioni. L’argomento dei costi di assistenza e manutenzione, genera molte considerazioni, la prima delle quali è di natura strettamente empirica, scaturisce infatti dalle esperienze personali di moltissimi utenti: un sistema GNU/Linux ben configurato non da pressochè alcun problema, il ricorso all’assistenza per malfunzionamento software può essere nella stragrande maggioranza dei casi evitato, considerazione che invece notoriamente, molto spesso non vale per il software proprietario.

Qualora, invece che il malfunzionamento, i servizi di assistenza, o più propriamente (in questo caso) di manutenzione, riguardino esigenze più complesse che non possono essere evitate (come delle modifiche software specifiche), il software libero offre ancora moltissime possibilità di risparmio proprio per la sua caratteristica fondamentale: la libertà.

Questo perchè il mercato dell’assistenza/manutenzione del software libero è concorrenziale dato che non ci sono barriere all’entrata: per apprendere le conoscenze necessarie a diventare un esperto GNU/Linux infatti, non servono nè il consenso, nè la certificazione di una ditta che detiene diritti sul codice sorgente e il codice sorgente stesso; al contrario il mercato dell’assistenza del software proprietario è monopolistico. L’implicazione che deriva da questa considerazione dovrebbe essere tristemente nota a tutti: i prezzi dei servizi in un mercato monopolistico sono sensibilmente più alti rispetto a quelli che genera un mercato concorrenziale.

Ancora, grazie al software libero, un’azienda con richieste specifiche, potrebbe anche decidere di rispondere da sè alle proprie esigenze: dal momento che GNU/Linux mette il suo codice sorgente a disposizione per essere studiato e adattato, si può tranquillamente investire nella formazione di uno o più specialisti che si occupino dell’assistenza/manutenzione del proprio sistema informatico, eliminando totalmente anche i costi derivanti dal ricorso a ditte terze, specializzate nel settore. E la possibilità appena descritta, non richiede neanche grossi investimenti in manuali informatici (notoriamente costosi): la rete, è stracolma di informazioni tecniche dettagliatissime consultabili da tutti senza costi aggiuntivi. Continuando a scendere tra i punti della lista, si arriva ai costi di protezione, che al giorno d’oggi tendono a rivelarsi in molti casi tra i più significativi per le aziende. Rendere il più sicuro possibile il proprio sistema informatico da qualsiasi tipo di intrusione (virus, cracker ecc.) è diventato ormai, più che una condivisibile pratica, un vero e proprio obbligo.

In Italia, chiunque tratti digitalmente dati personali oggetto di tutela da parte del garante della privacy, è tenuto a porre in essere una serie di misure di sicurezza (che diventano più rigide all’aumentare della sensibilità dei dati trattati), come dispone il recente decreto legislativo 196/2003 che ha integrato la normativa sulla riservatezza (privacy). E tra queste misure, vengono annoverati un professionale accesso multiutente ai sistemi informatici aziendali, e la protezione degli elaboratori da attacchi esterni, tramite antivirus, firewall ecc. E’ lampante che, se per adeguarsi alla normativa si ricorre al software proprietario, si ha una vera e propria impennata dei costi, dato che da sempre, la sicurezza è una merce che costa abbastanza cara, e comunque, non si avrà la certezza di raggiungere l’obiettivo sperato.

I dati parlano chiaro, la differenza tra l’incidenza che il malware ha sui più diffusi sistemi operativi proprietari e quella che ha su sistemi GNU/Linux è abissale: è di poco tempo fa la notizia che gli ultimi due anni sono trascorsi lasciando GNU/Linux completamente indenne da virus. E un’ulteriore riprova si ha osservando il mercato dei sistemi per server internet, dove GNU/Linux ha ormai conquistato e mantiene prepotentemente il predominio, proprio grazie alla sicurezza garantita, abbinata alla stabilità (altro requisito caratteristico). Andando oltre, e analizzando il problema della sicurezza con un po’ di malizia, si può anche arrivare a ipotizzare in modo abbastanza verosimile, che i costi più impegnativi, facendo uso di software proprietario, si possano sostenere non nella messa in sicurezza del sistema, ma bensì nel ripristino dei dati, qualora il sistema fosse violato (ipotesi come detto non così remota…).

Ancora nella lista, si trovano i costi di interazione aziendale, che possono manifestarsi, quando due aziende che comincino a collaborare a uno o più progetti, si scambino dati tramite mezzi informatici. Per prima cosa, prima di procedere nel discorso, è necessario ricordare come, l’utilizzo diffuso del software proprietario, abbia negli anni, aiutato il selvaggio proliferare di formati proprietari associati a programmi specifici, a discapito degli standard che vengono adottati e rispettati nella comunità del software libero, anche perchè, ottimizzano l’utilizzo dello spazio.

Non sarebbe per nulla strano che, al momento dello scambio di dati dello stesso tipo (testi, immagini, fogli elettronici, ecc.) tra aziende, ci si accorgesse di usare due programmi proprietari diversi, magari con le stesse identiche funzioni, che producono però risultati incompatibili, avendo come riflesso l’obbligo per uno dei due partecipanti di utilizzare gli stessi software dell’altro, con dispendio di denaro, oltre che con fastidiosi sprechi di tempo. Se, infatti, come dicono molti economisti, il tempo è la risorsa scarsa per eccellenza, possiamo ipotizzare che i costi in termini di tempo, siano osservati sempre con gran riguardo dai dirigenti aziendali. E’ chiaro che anche l’instabilità di un sistema informatico (caratteristica per la quale alcuni sistemi operativi proprietari sono divenuti negli anni, tristemente famosi), sottrae tempo a chi utilizza l’elaboratore, tempo che potrebbe essere utilizzato invece in maniera produttiva.

La proverbiale stabilità di GNU/Linux consente un significativo risparmio di tempo, ma anche in presenza di problemi di instabilità, la scelta di GNU/Linux si rivelerà oltremodo vincente: ancora una volta i dati ci vengono in soccorso, GNU/Linux, garantisce un uptime (intervallo temporale necessario al riavvio della macchina a causa di crash di sistema) che ha pochi concorrenti nel mercato. Ora, dopo aver tentato di analizzare le più rilevanti implicazioni in termini di risparmio, derivanti dall’utilizzo di software libero in ambito aziendale, non resta altro che verificare se da questo possano nascere costi che di per sè il software proprietario non produce.

A questo punto i maligni potrebbero riesumare la stra-inflazionata critica, mossa da sempre contro l’utilizzo di GNU/Linux: il possibile inasprimento dei costi per il personale, dovuto alla necessità di corsi di formazione. Ma la proverbiale difficoltà di utilizzo dei sistemi UNIX Like non è più un argomento convincente, e trova la sua smentita nella miriade di distribuzioni GNU/Linux, diversissime tra loro, ma con gli stessi punti di forza, e in grado ormai di rispondere alle esigenze di qualsiasi tipo di utente.

A margine di queste considerazioni, probabilmente l’unica difficoltà si manifesta qualora si cerchi di capire il motivo per il quale il software libero non abbia già cominciato a impadronirsi dei desktop delle aziende pubbliche e di quelle private, specialmente in un Paese come il nostro, nel quale il settore più florido dell’economia è costituito da realtà principalmente medio-piccole (e quindi con disponibilità finanziarie non elevatissime), e dove la Pubblica Amministrazione si barcamena, nella triste attesa di grossi e sistematici tagli che, prima o poi a quanto pare, diverranno improrogabili e indispensabili per il benessere del sistema, ma che presumibilmente, con una gestione più attenta (almeno dei sistemi informatici), se non scongiurati, potrebbero essere almeno ridotti nell’entità.

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